Come aiutare davvero un cavaliere demoralizzato

Quante volte istruttori e genitori si ritrovano a doversi confrontare con allievi o figli demoralizzati dopo una gara andata male senza sapere cosa dire loro e come dirlo per aiutarli a reagire? 

Nell’articolo di oggi condivido dei tanto semplici quanto preziosi spunti per farsi trovare più pronti e preparati ad aiutare un cavaliere in preda all’inevitabile sconforto che prova quando sa di non essere stato all’altezza del suo compito in campo. 

Una scena ricorrente

Durante il mio ultimo concorso ho assistito ad una scena che forse non risulterà nuova neanche a Te che stai leggendo questo articolo: una giovane amazzone all’uscita del campo gara, ricoperta di sabbia dalla testa ai piedi, sommersa in lacrime amare dopo essere caduta da cavallo durante il percorso, mentre la sua istruttrice cercava in tutti i modi di alleviare il suo dolore. Intanto che la mamma era dietro sua figlia con lo sguardo di chi sapeva che le prossime ore non sarebbero state per niente semplici, l’istruttrice tentava di consolarla con tutta se stessa, usando frasi super motivanti e cercando di ricordare alla ragazza tutte le volte che lei e il suo cavallo avevano ottenuto dei grandi risultati. Tuttavia ogni volta che parlava davanti si ritrovava un muro su cui tutti i suoi motivanti discorsi rimbalzavano e tornavano indietro al mittente: “Non è vero che sono brava, sono un disastro, è meglio se smetto di montare”.

La regola numero 1

Perché anche quando ci attrezziamo delle migliori intenzioni e delle giuste parole non riusciamo ad aiutare l’allievo, il figlio e il cavaliere che abbiamo di fronte? 

Perché le migliori intenzioni e le giuste parole non bastano quando le usi nel momento sbagliato

Quando noi atleti usciamo dal campo gara con un fallimento, siamo come un pugile che esce dal ring dopo essere stato messo ko dal suo avversario: ci sentiamo arrabbiati, delusi e feriti. Anche se la nostra testa sembra sempre lì attaccata al collo, in realtà sta vagando nel passato per ripensare a tutti i sacrifici fatti per arrivare preparati alla competizione completamente andati in fumo, e nel futuro per immaginare tutte le più esageratamente drammatiche conseguenze del nostro insuccesso: la profonda delusione dell’istruttore che si è fatto un mazzo quantico con noi, mamma e papà che pagano profumatamente per farci fare percorsi che non riusciamo nemmeno a portare a termine, il nostro cavallo che per quanto possa essere meraviglioso evidentemente noi non siamo in grado di fare funzionare, e tante, tantissime altre. 

Ecco, parlare con noi in questi momenti è come parlare ad una persona ubriaca. Siamo mentalmente annebbiati e decisamente poco lucidi per ascoltare realmente qualcuno, anche se le sue intenzioni e parole sono le migliori del pianeta. Semplicemente in quel momento non capiamo quello che ci viene detto un po’ perché non possiamo e un po’ perché non vogliamo. Perciò il primo consiglio che voglio condividere è questo:

Scegliamo il momento giusto per parlare dell’accaduto con il cavaliere.

E quel momento non è a fatto appena accaduto, ma quando lui o lei se la sentirà. Forse ora potrebbe risultare spontaneo domandarsi come facciamo a sapere quando se la sentirà, e la risposta è molto semplice: chiedendolo.

Ai cavalieri che seguo in Coaching dopo una performance scadente dico semplicemente una cosa: “Mi dispiace, quando vorrai parlarne sono qua”. E se nelle ore o nei giorni seguenti non si sono ancora fatti vivi, allora scrivo loro un messaggio chiedendo loro come stanno e se la sentono di raccontarmi cosa è successo. Solo quando ricevo il loro via libera senza costrizioni o forzature, allora posso lavorarci con la certezza che si sentono pronti per essere aiutati e con il rischio che le mie parole vadano al vento radicalmente ridotto.

Non consolazione, ma comprensione.

Ho visto spesso istruttori e genitori che, dispiaciuti a vedere l’allievo o il figlio in lacrime dopo il suo fallimento, entrano in quello che io sono solita chiamare mood consolatorio. Per quanto apprezzi tantissimo le loro nobili intenzioni, il secondo spunto su cui vorrei far riflettere è questo: quando noi cavalieri abbiamo appena fallito in qualcosa non vogliamo essere consolati, vogliamo essere capiti

Una delle frasi dette dall’istruttrice di cui ho raccontato che mi è rimasta più impressa è stata: “Non è così grave, è solo una caduta!”, e per quanto avesse ragione, pronunciare queste parole è stato un po’ come se avesse tirato fuori un enorme cartello con scritto NON TI CAPISCO a caratteri cubitali e glielo avesse spiaccicato in faccia.

Paradossalmente, in questi casi ho constatato che è estremamente più proficuo comportarsi nella maniera opposta. Per farla semplice, nel momento in cui l’amazzone ha urlato in lacrime che aveva fatto schifo, una risposta efficace avrebbe potuto essere:

“Sì, oggi non è andata bene. Mi dispiace. Ricordati sempre che se andassimo da tutti i binomi in gara a chiedere se a loro è mai successo, tutti ti risponderebbero di sì.”

Così facendo si ottengono molteplici effetti. In primis, evitiamo di far passare per ok qualcosa che per il cavaliere in questione non lo è affatto. Per quanto cadere non sia grave, per lei in quel momento lo era. Queste parole soddisfano il suo bisogno di essere compresa.

In secondo luogo, ricordano un presupposto fondamentale che a mio avviso troppo spesso viene dimenticato: uscire dal campo con un fallimento non è e non sarà mai un’anomalia del sistema. È successo a tutti, è normale. Prima lo accettiamo e lo facciamo diventare una parte integrante del nostro percorso, prima potremo lavorare sul rafforzamento di uno dei più grandi poteri che abbiamo: il modo in cui decidiamo di rispondere al fallimento. 

Ricapitolando

Chi vuole aiutare davvero un cavaliere demoralizzato dopo un insuccesso non solo sceglie con cura le parole da usare, ma anche il momento migliore per dirle. Evitiamo di parlargli dell’accaduto quando è ancora visibilmente arrabbiato e provato, e attendiamo con pazienza che si senta pronto per ascoltarci a mente fredda. 

Una volta trovato il momento giusto prima di arrivare a consolarlo assicuriamoci prima di tutto che si senta capito. Teniamo sempre bene a mente che il modo migliore che abbiamo per aiutare un cavaliere a risollevarsi non è fare finta che non sia mai caduto, ma ricordargli che adesso che è caduto l’unica cosa che può fare è decidere di rimanere a terra o risalire in sella. 

E per qualunque cosa contattami a info@paolamelon.it.

Io sono qui, per Te. 

Al prossimo articolo,

la vostra Coach

diventa il cavaliere di cui il tuo cavallo ha bisogno per crescere insieme.
Ricordati: se siamo riusciti a farlo noi, puoi farlo anche tu insieme al tuo cavallo! Con tutta la comprensione di chi sa cosa significa cadere e rialzarsi.